Lo abbiamo (ri) scoperto in questo periodo di isolamento forzato: la tecnologia ci aiuta, ma spesso non basta. Le emoticon (chi mi conosce sa che ho una certa difficoltà ad interpretarle), i like, i retweet servono, ma noi siamo di più. A volte abbiamo bisogno di ”sentire” chi amiamo, e non solo in senso uditivo.
Nella società del clic questo ragionamento potrà apparire scontato, orientato ad un passato forse desueto. Forse ”antico”, come amano dire i più giovani. Ma continuo a pensare che stare molto tempo lontani, come ci accade oggi, ci abbia insegnato qualcosa.
Che insieme alle manifestazioni d’affetto ”social” dobbiamo parlarci di più, dirci più cose. Specie quelle che abbiamo dentro, consci come siamo dell’importanza del tempo. Dire e sentirsi dire, un meccanismo che forse avevamo dimenticato. E che non possiamo permetterci di perdere.
Le parole, fonte assoluta di bellezza
Quanto è importante sentire qualcuno al telefono? Magari videochiamarlo e vederlo in faccia, seppure da lontano, mentre ci diciamo che non vediamo l’ora di rivederci? Moltissimo, credo. Perché il calore di una voce amica, le parole di chi amiamo sono una fonte assoluta di bellezza .
La tecnologia ci aiuta, sì. Ma siamo fatti anche di suoni e profumi. Di parlar di altro, che spesso è parlar di noi. Di come siamo e di come vorremmo essere. E facendolo ci specchiamo in chi abbiamo davanti, o dall’altro capo del telefono. Riscoprendo di essere ancora umani. Tecnologici ma profondamente umani.
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