Ancora in viaggio nel mondo del digitale. Oggi ragioniamo insieme all’avv. Marco Proietti, giuslavorista, che ci proietta nel complesso ma affascinante rapporti fra lavoro e digitale. Come evolveranno recruiting, mansioni e retribuzioni? Le macchine saranno il futuro datore di lavoro oppure il progresso sarà ‘temperato’ dalla presenza ancora dell’uomo?
Ne rimarrà solo uno: l’uomo o la macchina? O entrambi?
”La società digitale è tra di noi. Siamo sempre più iperconnessi, e questo travolge inevitabilmente anche i rapporti di lavoro. Le aziende, seguendo l’agenda europea per Industry 4.0, stanno progressivamente modificando il proprio assetto rendendosi sempre più digitali: in questo caso, si badi bene, non si fa riferimento solo all’automazione (ovvero alla robotica) bensì al più ampio panorama offerto dall’utilizzo di software, applicazioni e comunque possiamo intendere la IA. Rispondendo alla domanda, rimarremo entrambi. Ma l’uomo sarà affiancato dalla macchina e la utilizzerà, appieno, per velocizzare e rendere sempre più puntuale la propria attività”.
Ha spesso parlato di ”digital recruiting”, di ”algoritmi applicati al lavoro”: andiamo verso questo scenario?
”Il digital recruiting è già attualità. Molto presto saranno i chatbot a effettuare i colloqui, al posto degli addetti alle risorse umane, e l’algoritmo sarà sempre di più il datore di lavoro, così come avviene in alcuni settori (si pensi ai riders). Non si deve però perdere di vista il lato umano del digitale. L’auspicio è che lo sviluppo delle tecnologie sia sempre di tipo sostenibile, verso un vero e proprio Umanesimo Digitale come richiamato dalla Fondazione Leonardo Civilità delle Macchine”.
Il mondo del lavoro italiano è pronto per una ”digitalizzazione” spinta?
”Manca il sostrato culturale. Se prendiamo come riferimento Israele – che ha la più alta densità di start up innovative nel mondo dell’high tech – ci rendiamo conto come la nostra posizione sia ancora arretrata. E’ un gap che si può recuperare, ma si deve volerlo. E serve una semplificazione normativa, prima di tutto, e un nuovo approccio da parte degli atenei, che consentano ai laureati di essere già proiettati verso la possibilità di “lanciare” un progetto imprenditoriale nuovo. Le società “unicorno”, ad esempio, mancano del tutto in Italia: questo è un segnale importante”.
Quali sono i rischi di un massiccio ricorso alla tecnologia ?
”L’unico rischio è che si possa snaturare il rapporto di lavoro. La tecnologia e la IA possono aggirare alcuni aspetti della normativa, se non sono usate in modo corretto. Diciamo pure che quello che conta è come vengono programmati gli algoritmi e soprattutto fino a che punto ci si vuole spingere nel machine learning”.
Come evolverà la sfera giuslavoristica con la crescita dell’impatto della tecnologia?
”Assisteremo, sicuramente, ad un netto cambio della contrattualistica, ad un maggiore uso del lavoro “smart” e alla necessaria rivisitazione anche dello Statuto dei lavoratori”.
Si assisterà ad un livellamento verso il basso, anche retributivo?
”Non credo ci sarà un livellamento verso il basso. Cambierà il modo di lavorare, almeno in alcuni settori, ma quello che riguarda la retribuzione sarà un confronto a parte: si parlerà, come già avviene, sempre di più di rendimento e la prestazione resterà legata al raggiungimento di un determinato risultato, con ovvie conseguenze in caso di mancato conseguimento”.