Talvolta pensiamo che la nostra immagine sui social sia la sola cosa che conta. Come ci vedono gli altri, quali modelli esprimiamo, come appariamo. E, in maniera sottile e silenziosa, ci sentiamo quasi obbligati ad una sorta di perfezione, da ostentare in qualsiasi momento. Ma non siamo obbligati alla perfezione, bensì solo a star bene.
Non è un mistero che la società, già prima dell’era social, fosse incline ad etichettare le imperfezioni. A guardare non di buon occhio ciò che appare difforme da un modello prestabilito. La spasmodica ricerca di perfezione da mostrare a tutti i costi non è quindi una novità assoluta di questi anni. Ma di certo con l’esplosione del fenomeno social, della sovraesposizione delle immagini in particolar modo, la questione ha assunto contorni più significativi.
Non siamo obbligati alla perfezione
Siamo esposti ogni minuto ad immagini che esaltano la perfezione. Angolature, tecnologie e filtri non fanno altro che aumentare il divario fra quel che vediamo su un display e ciò che vediamo passando davanti ad uno specchio di casa nostra. Cioè noi stessi. Che siamo il concentrato di esperienze e pensieri ricorrenti, di emotività e preoccupazioni, di felicità e delusioni. Che siamo imperfetti, per natura e conformazione.
Ma siamo obbligati alla perfezione? A conformare noi stessi e i nostri tratti ad un meccanismo che non ci rappresenta profondamente? E a cosa ci porta la corsa alla perfezione obbligata? A raggiungere quale obiettivo? La realtà è che a queste domande non sappiamo, e a volte non vogliamo, dare risposta concreta. Perché in questo mondo ”modellante” ci siamo immersi fino al collo.
Noi stessi, troppo spesso, ce ne facciamo avvolgere e usiamo lo stesso metro verso altri che, come noi, non riescono ad avvicinarsi al modello.
Star bene, l’obbligo che dimentichiamo
Non siamo obbligati alla perfezione, perché essa in fin dei conti non esiste, se non relativamente ad un parametro soggettivo. Siamo invece obbligati, in un certo senso, a star bene. Con noi stessi, con le nostre imperfezioni che spuntano qua e là in ogni foto. Che riflettono le immagini del nostro specchio di casa.
Le imperfezioni ci rendono un pezzo unico, diverso da tutti nel senso più bello del termine. Non c’è dunque perfezione a cui siamo obbligati, non c’è display che debba far da modello a ciò che siamo. Perché se ci sentiamo obbligati alla perfezione, perfetti non saremo mai: ogni istante infatti ci troveremo a dover rincorrere un modello sempre nuovo.
L’unico display che conta
Non siamo obbligati ad ostentare felicità, né a produrre immagini di perfezione assoluta. Né a ricostruirci costantemente per il selfie quotidiano. Ne facciamo tutti, questo è innegabile, ma pochi ci piacciono realmente, se li confrontiamo con uno standard definito da altri.
Proviamo invece a chiederci se in quell’immagine c’è il nostro star bene, se c’è il nostro volerci bene. Se in quell’immagine, istantanea di un momento, possiamo riconoscerci al di fuori di un contesto social estremamente ingaggiante dal punto di vista estetico. Proviamo a guardare all’unico display che realmente conta, quello che guardiamo quando facciamo i conti, da soli, con la nostra intima ricerca di felicità.
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