Ogni cosa, ogni emozione, ogni esperienza ha il suo tempo. Nell’era del tutto e subito, questo è un assunto che provoca pruriti, fastidi epidermici; perché nulla si può attendere, nulla vale la pena di aspettare che maturi. Nulla si legge nell’ottica del saper cogliere le cose della vita quando esse sono realmente là per noi.
La legge del desiderio imperante, del volere morbosamente per poi gettare via. Del desiderare quel che non si potrebbe (e spesso dovrebbe). Usare, utilizzare, godere velocemente, poi virare su un altro obiettivo. E poco importa, se proprio vogliamo edulcorare, quando ciò si declina su cose materiali; perché il problema si materializza quando ad essere oggetto di questo sono le persone.
Non sappiamo più aspettare
Abbiamo perso la capacità di vedere ”oltre”, di capire che il tempo spesso ha in serbo per noi la versione migliore delle cose; perché averle quando abbiamo l’età giusta, quando le condizioni sono giuste, quando tutto è in linea, fa tutta la differenza del mondo.
Specie se questo tempo ci aiuta a capire. A leggere fra le righe delle decisioni che dovremmo prendere e di quelle che non dovremmo prendere. Ad osservare e valutare se, realmente, quel sogno o desiderio ha le potenzialità per divenire la realtà che ci siamo immaginati.
Non sappiamo più aspettare. Non aspettiamo più le occasioni giuste, non aspettiamo più le persone giuste. Semplicemente le vogliamo morbosamente, perché abbiamo negli occhi e nel cervello la falsa sensazione ormai radicata che tutto si può avere. Subito e senza conseguenze se poi ci stanchiamo o procuriamo qualche danno.
Il dono che non dovremmo mai smarrire
Ma nell’era del tutto e subito, dell’immagine delle emozioni che non lascia nulla, nei giorni dell’amicizia e dell’amore virtuale, c’è un dono che non dovremmo mai smarrire: la capacità di aspettare. La voglia di accarezzare il tempo sapendo che esso, prima o dopo, ci porrà silenziosamente dove dovremo essere. E con chi dovremo essere. La forza di non ascoltare la ingorda bramosia che la realtà esterna costantemente ci instilla. E che, il più delle volte, ci spinge come inconsapevoli robot desideranti ad usare. Qualsiasi cosa, chiunque. Finendo per usare, a lungo andare, anche noi stessi.
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