Intraprendenti, coraggiose, impegnate a costruire progetti interdisciplinari e sinergie tra la natura e il lavoro umano. Le agricoltrici di oggi sono una risorsa importante, per l’innovazione e il valore aggiunto che sanno portare al settore, nonché per presenza. Certo, i numeri non raggiungono ancora le quote maschili, ma sono comunque in crescita.
Oggi in Europa le donne rappresentano circa il 35% della forza lavoro agricola (dati Eurostat del 2016), a fronte di una quota femminile sul totale della popolazione lavorativa che è del 45,9%. In alcuni Paesi la manodopera agricola rosa supera il 40%, come in Austria (44,5%), Romania (43,1%), Polonia, Grecia e Slovenia (41,1%). Per contro, la presenza minore di donne contadine sono segnalate in Danimarca (19,9%) e Irlanda (11,6%).
In Italia, su 900mila persone occupate in agricoltura, 233mila sono donne (il 25% circa, elaborazione ISMEA su dati ISTAT del 2020). In realtà i numeri potrebbero essere maggiori, visto che spesso le posizioni ricoperte assumono una dimensione informale e non risultano tutte nelle statistiche ufficiali, perché le aziende sono per lo più di dimensioni medio-piccole e a carattere familiare, dove l’aiuto dei componenti della famiglia non sempre è registrato.
Le mansioni svolte sono differenti, multilivello e multifunzionali: produttrici, imprenditrici, addette alla logistica o al packaging, esperte di controllo qualità, addette alle tecnologie per l’ortofrutta, esperte di comunicazione o di distribuzione organizzata.
Se saliamo i vertici, sempre in Italia un’azienda agricola su tre è a conduzione femminile (dati Eurostat, Farm Structure Survey 2016) e un’impresa rosa su sei opera nel settore delle coltivazioni (dati UnionCamere 2016). Se si pensa che le prime agricoltrici nel nostro Paese appaiono nel 1953 e che nel 1976 nasce il primo movimento di categoria autogestito, di strada ne è stata fatta. Le imprenditrici sono per la maggior parte donne laureate, che hanno lavorato in diversi settori prima di cambiare la loro vita, tornando nei campi se vi erano cresciute o scegliendo di avviare una nuova attività all’aperto.
Spesso mettono a rischio il loro status, partendo da scarse risorse economiche, ma si dimostrano piene di passione e di energie, impegnandosi con grande dedizione al rispetto dell’ambiente, alla tutela della qualità della vita, all’attenzione al sociale, alla valorizzazione della biodiversità e dei prodotti tipici locali. Inoltre, sono più propense ad avviare progetti di agricoltura multifunzionale, avviando attività di educazione alimentare ed ambientale con le scuole, apertura di agro-asili, fattorie didattiche, orti didattici o percorsi rurali di pet-therapy. Sono anche delle innovatrici, utilizzando al meglio le tecnologie del settore e l’agricoltura di precisione.
Generano economia reale, ristrutturando spesso le aziende di famiglia, riorganizzando le produzioni, sperimentandone di nuove, aspirando alla qualità totale dell’impresa e al suo valore sociale. Il loro contributo al lavoro dei campi è una risorsa preziosa e il loro ruolo nel garantire la sostenibilità delle comunità rurali è sempre più significativo.
Certo, c’è ancora molto da fare. Le confederazioni di categoria sottolineano l’urgenza di investire a tutto tondo sull’uguaglianza di genere, promuovendo la parità di salario, le competenze imprenditoriali delle donne, una capillare formazione professionale e un’istruzione continua. Una maggiore consulenza finanziaria e il miglioramento della qualità e dell’accesso alle infrastrutture da parte del mondo femminile non solo possono aumentare la qualità di vita, ma anche promuovere l’imprenditoria e lo sviluppo sostenibile delle aree rurali. Si tratta di un obiettivo preciso e concreto, per il bene non solo del mondo femminile ma anche del comparto agricolo in generale e per lo sviluppo del nostro Paese.