L’intelligenza artificiale è padrona del dibattito ormai da qualche anno. Usi, implementazioni, prospettive e capacità di integrazione con il lavoro umano sono al centro di molte riflessioni. L’intelligenza artificiale potrà mai sostituire il lavoratore? Il nostro mondo del lavoro è pronto per un ingresso ancor più massivo delle tecnologie AI? I pareri non sono concordi, come sempre accade in questi casi.
Ho voluto sentire cosa ne pensa un ospite storico del mio blog, l’avvocato Marco Proietti, giuslavorista e voce costantemente impegnata su questo ambito. Secondo il suo parere “non ci sarà mai una sostituzione totale del lavoratore con l’intelligenza artificiale”.
Il mondo del lavoro è a prova di intelligenza artificiale?
“Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, ed il progressivo avanzare dell’intelligenza artificiale – con tutte le sue implicazioni pratiche – ne sta determinando una nuovo e radicale cambiamento; non mi riferisco unicamente al modo di lavorare, perché in quello sono già molte le tecnologie di cui ci avvantaggiamo, sia come liberi professionisti che come dipendenti, bensì proprio a come la società si stia modulando verso nuovi profili lavorativi. Nascono nuove professioni ed il mercato chiede nuove conoscenze professionali, ne ho parlato anche nel mio libro “La sovranità digitale tra ordine costituzionale e sicurezza nazionale”, edito dalla Pacini Giuridica, proprio per quel che attiene la nascita di nuovi ruoli all’interno dell’azienda e l’utilizzo della robotica e della IA nella gestione dell’azienda. A questo proposito, mi venga concessa una digressione”.
Immagino mi riporterà alla questione algoritmi, che molto ha a che fare con l’oggetto della nostra chiacchierata
“La robotica e la IA hanno iniziato a operare, per un primo momento, nel processo di automazione delle catene di produzione e progressivamente hanno sostituito l’uomo nella fase anche di monitoraggio dei prodotti, correttezza delle procedure, corretto dosaggio di ingredienti, ecc.; questo utilizzo ha semplificato notevolmente alcuni processi produttivi (si pensi, tra tutti, al caso della catena industriale nelle aziende automobilistiche) ma visto con gli occhi di oggi rappresenta un risultato estremamente contenuto, perché la IA sta andando ben oltre l’automazione e la robotica, affiancandosi alla direzione aziendale anche nella selezione dei dipendenti, nonché nella gestione delle risorse umane, nel controllo del rendimento, nella valutazione complessiva delle attività che vengono eseguite dai dipendenti. Sul recruiting è sufficiente ricordare che partendo dai social network e dalla possibilità di usare gli stessi come database di curricula (si pensi all’uso di Linkedin da parte di head hunter specializzati in vari settori), si è giunti all’utilizzo dei c.d. “chatbot” ovvero degli algoritmi con cui l’utente interagisce e che effettuano veri e propri colloqui preassuntivi: immaginando un futuro molto vicino, forse non oltre i prossimi 5-10 anni, il rapporto con l’azienda potrebbe essere in molti casi pressocchè zero, ed il dipendente potrebbe vivere la propria esistenza lavorativa rapportandosi unicamente con l’algoritmo che lo assume, verifica l’orario di lavoro, verifica l’effettivo svolgimento della prestazione, emette buste paga e retribuzione, licenzia o prende provvedimenti disciplinari”.
Manca ancora, come ci disse in una intervista di qualche tempo fa, il “sostrato culturale” per una digitalizzazione spinta?
“Il progresso va avanti da solo, noi possiamo (e dobbiamo) adeguarci. Non credo sia necessaria una digitalizzazione “spinta” perché negli anni ci siamo tutti trasformati in utenti digitali e lo smartphone è entrato nelle nostre tasche senza troppa fatica. Oltre a questo pensiamo alle smart tv, agli elettrodomestici in wifi, all’utilizzo del gps, alla domotica e all’evoluzione della tecnologia nelle automobili, ovvero a tutti quei campi in cui ci siamo adeguato al digitale perché ha rappresentato uno strumento tramite il quale semplificare la vita quotidiana. Nel mondo del lavoro le cose sono chiaramente diverse. Come dicevo prima, infatti, sta cambiando non solo il modo di lavorare ma proprio il tipo di profili richiesti. Ci sarà un passaggio generazionale, lento, inesorabile, e non sarà doloroso semplicemente perché intorno la società cambierà insieme a noi”.
Dopo l’exploit (che ancora non è del tutto compiuto) dell’intelligenza artificiale, è ancora convinto che la AI e l’uomo si affiancheranno e che quest’ultimo non ne sarà, invece, soverchiato?
“L’intelligenza artificiale non potrà mai sostituire completamente l’uomo, neppure nelle ipotesi più futuristiche e distopiche. I segnali che vengono forniti da parte dei tecnici e di chi opera da sempre nel settore IT sono semplici: il machine learning ha un limite, superato il quale, la IA smette di apprendere e inizia ad involvere. Questo perché non è possibile replicare le capacità evolutive dell’apprendimento umano e, in secondo luogo, l’esperienza dei fatti quotidiani (quelli che devono ancora accadere) non è preventivabile. La IA, in sintesi, non “vive” la realtà se non attraverso i dati che le vengono forniti e quindi ha un costante cordone ombelicale che la blocca. Oltre a questo, la programmazione dell’algoritmo ha dimostrato l’involuzione di cui si diceva prima. Superato un certo limite di apprendimento la IA si ferma, regredisce e si rifiuta di apprendere ulteriormente”.