La distanza ci mette alla prova, sotto ogni punto di vista. Siamo fatti per comunicare a distanza ravvicinata, con il linguaggio delle parole e del corpo, per toccarci e ”sentirci”. Mai come ora, mentre siamo alle prese con un lungo periodo di doverosa distanza sociale, sperimentiamo l’importanza dell’essere sociali.
Ne riscopriamo l’essenza profonda, il valore altissimo in termini umani. Solo ora forse capiamo la potenza di un abbraccio o di una carezza, che forse troppo spesso abbiamo negato agli altri, e così facendo anche a noi stessi. Comprendiamo, quando siamo alle prese con l’attesa del ritorno alla normalità, il senso vero delle parole e dei silenzi.
In questo contesto forse riusciamo a comprendere quanto terreno abbiamo perso rincorrendo futilità abilmente travestite da gioie, capaci di durare il tempo di un battito di ciglia. A ritrovare il valore della reciprocità, dello scambiarsi attimi e attenzioni, presi come eravamo a reclamare una sterile autoreferenzialità emotiva.
Rispondere ad un messaggio, donare qualche parola o semplicemente ascoltare uno sfogo diventa oggi qualcosa di estremamente prezioso. Un regalo che pian piano torniamo a fare a chi ci è vicino, seppure oggi temporaneamente lontano; qualcuno il cui volto non possiamo decifrare da una videocamera. Perché gli sguardi e i movimenti degli occhi non si lasciano ingabbiare dalla tecnologia.
Essa ci aiuta, ci sostiene nel gestire i lunghi giorni che viviamo, ma nella nostra speranza rimane un preludio necessario a ciò che è nei nostri sogni. Tornare a toccare, a sentire, a guardare, a respirare le persone che amiamo. Sperando che ciò che abbiamo riscoperto non si dissolva come polvere, ma continui a permeare le nostre vite come un mantello invisibile contro la solitudine e l’indifferenza.
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